Pensatore, storico e uomo politico italiano. Conseguita la laurea in Legge
all'università di Pavia nel 1832, iniziò un'intensa
attività di elaborazione filosofica. In gioventù subì
l'influenza del pensiero di Romagnosi, di cui era stato allievo, di Vico e delle
idee sansimoniane. Per sottrarsi alla dominazione austriaca, nel 1838 si
trasferì in Francia dove scrisse e pubblicò gran parte delle sue
opere. Insegnò Filosofia nel liceo di Rochefort e successivamente
nell'università di Strasburgo. Accusato di predicare la comunione dei
beni e delle donne, per aver commentato favorevolmente alcuni passi della
Repubblica di Platone, nel 1844 fu costretto dai suoi implacabili
avversari clericali a lasciare la cattedra. Negli anni seguenti si dedicò
a un'intensa attività di elaborazione teorica, propugnò idee
decisamente anticlericali, considerando la religione cristiana al di fuori di
ogni società progressiva. Molto vicino al gruppo dei socialisti
proudhoniani, elaborò una teoria del progresso secondo cui un'idea
destinata a influire profondamente su una società copre un periodo di
evoluzione di 125 anni, diviso in quattro fasi: preparazione, esplosione,
reazione, soluzione. Ciascuna fase corrisponde a una generazione. Vi sono
generazioni di precursori, di rivoluzionari, di reazionari e di soluzionisti.
Rientrato in Italia nel 1848, ebbe una parte di primo piano nel moto
rivoluzionario lombardo, facendosi assertore della repubblica lombarda, contro
il partito monarchico e venendosi inoltre a trovare in netto contrasto con le
tendenze unitarie di Mazzini, contro il quale affermava che in Italia non era
concepibile una rivoluzione sociale e politica senza l'aiuto della Francia
generatrice e depositaria di idee progressiste, avendo essa compiuto la sua
rivoluzione borghese sin dal 1789. Ritornato in Francia, insegnò al liceo
di Bourges da cui fu allontanato per aver protestato contro l'intervento
francese a Roma. Ritornato in Italia nel 1859, continuò a battersi per un
disegno unitario federalista e dal 1860 fu deputato della Sinistra. Poco prima
della morte fu creato senatore. Repubblicano federalista, fu con Pisacane il
solo repubblicano risorgimentale autenticamente "socialista", pur non
trascurando il problema dell'unità nazionale. Egli considerava il Papato
il pricipale nemico della rivoluzione nazionale. Analizzando storicamente la
situazione italiana, osservava come l'alleanza del Papato e dell'Impero avesse
tenuto l'Italia in uno stato di decadenza intellettuale e sociale. Il Sacro
Romano Impero era morto, ma lo spirito ne era ancora vivo e operante
nell'alleanza tra religione e potere politico. Egli non nutriva dubbi sulla
necessità di una collaborazione italiana con i socialisti francesi,
dovendo gli italiani stessi diventare socialisti e scegliere senza indugi tra
"il sistema cristiano e il sistema sociale". Criticava inoltre duramente il
concetto di repubblica unitaria del Mazzini, affermando che il programma
repubblicano unitario poneva l'accento dove non andava messo, cioè sulla
questione territoriale piuttosto che su quella della rivoluzione sociale.
Sostituire all'obiettivo della trasformazione sociale quello dell'unità
politica e territoriale significava tradire la rivoluzione e mettersi a fianco
della reazione. A un programma unitario, impostato dall'alto,
F.
contrapponeva una rivoluzione "abbandonata al suo impeto" così da
coincidere con le fondamentali aspirazioni delle masse, forza motrice della
rivoluzione. Contro l'obiettivo "dittatoriale" dell'unità egli affermava
che essa poteva essere "imperiale o papale, monarchica o repubblicana" e imposta
dall'esterno, mentre la rivoluzione nasce da un lavoro sociale interno:
"l'unità parte dall'alto, suppone capi, elude la rivoluzione... spegne la
discussione sui diritti del popolo, sull'uguaglianza degli uomini, sulla
religione stessa, sulle forme di Governo". La sua proposta di "repubblica
federale" si fondava sull'idea che ciascun stato italiano avrebbe compiuto la
propria rivoluzione interna, eletto la propria assemblea costituente e inviato i
propri rappresentanti all'assemblea nazionale, un organismo dotato di poteri
limitati per non interferire negli affari interni delle singole repubbliche. La
sua argomentazione in favore di una rivoluzione che fosse insieme politica e
sociale, costituiva una presa di posizione a favore della creazione di un
partito "sociale"; ma il piccolo gruppo dei repubblicani che era
fondamentalmente d'accordo con lui sul fatto che la rivoluzione nazionale
avrebbe dovuto essere, oltre che politica, anche economica, rifiutò di
aderire alla costituzione di un coerente partito sociale. Tra le opere:
La
mente di Giandomenico Romagnosi (1835);
La mente di Vico in relazione
alla Scienza della civiltà (1835);
Vico et l'Italie (1839);
Essai sur le principe et les limites de la philosophie de l'histoire
(1843);
Filosofia della Rivoluzione (1851);
La Federazione
repubblicana (1851);
Machiavelli giudice della rivoluzione dei nostri
tempi (1852);
Histoire des révolutions d'Italie ou Guelfes et
Gibelins (1856-1858);
Teoria dei periodi politici (1874);
La
rivoluzione e i rivoluzionari in Italia (pubb. postuma, 1901) (Milano 1811 -
Roma 1876).